Fortuna Eleganza Storia
Regalo Ideale. Arricchisce la casa Propizia la Buona Sorte
UN OGGETTO STRAORDINARIO, Corno in Design scolpito nel Marmo Bianco.
DA UN LUOGO STRAORDINARIO, nato dal Ventre della Città, tra le Millenarie Fondamenta del Palazzo del Panormita, alle spalle del Corpo di Napoli
CON UNA STORIA STRAORDINARIA, che parte dal Neolitico ed attraversa l'epoca Greco Romana, il Corno in Design è l'ultima tappa di una evoluzione millenaria.
Bellezza del Marmo, Energia del Rame, Forza della Pietra. Scolpito da un blocco di marmo bianco di Carrara mediante tecnologia robotica. Levigato a mano, è sostenuto da un elemento in Rame su una base in Pietra Lavica, Tufo o Marmo.
Arricchisce con l'Armonia di forme, la Bellezza del Marmo, l'Energia dei materiali e rimandando ad una Storia Millenaria propizia la Fortuna.
Design unico tradizione Italiana
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Base Pietra Lavica
- Altezza: 40 cm
- Peso: 4,5 kg
- Materiali: Marmo, Rame, Pietra Lavica
A Napoli, il corno ha sostituito il fallo Greco-Romano come amuleto beneaugurante nel medioevo con la messa al mando di tutti i riferimenti ai piaceri della carne.
Museo Archeologico di Napoli.
La religione cattolica e la morale comune avrebbero quindi condotto alla scomparsa del fallo in quanto simbolo pagano ed amuleto portafortuna ed alla sua sostituzione con il corno.
Tuttavia, questa ipotesi viene smentita da una testimonianza illustre alla fine del '700. In una lettera da Napoli del 31 dicembre 1781, William Hamilton descrive l’usanza a Napoli tra bambini e donne di ceti popolari di indossare amuleti con simboli fallici chiaramente derivanti dal culto di Priapo dell’antica Roma. La funzione di questi amuleti era naturalmente quella di proteggere dagli incantesimi e dal malocchio.[immagine5]
Si trattava di amuleti in argento, avorio, corallo molto simili a quelli rinvenuti tra gli scavi di Ercolano. Hamilton collezionò molti amuleti sia moderni che provenienti da Ercolano per inviarli al British Museum.
Nella stessa lettera Hamilton testimonia della sopravvivenza alla fine del ‘700 del Culto di Priapo nella città di Isernia e la sua fusione con il culto Cristiano. Nel corso della annuale festa dei santi medici Cosimo e Damiano venivano venduti in gran quantità simboli fallici di varia fattura e dimensione. Tali oggetti avevano funzione propiziatorio e bene augurante soprattutto per le donne che partecipavano alla festa spesso per rimediare alla loro sterilità.
Così come nell’antichità i contadini ponevano un grande fallo, simbolo del Dio Priapo a protezione dei loro campi, così ancora oggi grandi corna sono immancabili nelle campagne del Sud Italia.
Il corno viene regalato o indossato in quanto amuleto a protezione dalla cattiva sorte e dal malocchio ovvero da invidia, gelosia e cattiveria.
È diffusissimo: si trova nelle case dei napoletani, nelle botteghe e nei ristoranti.
La credenza vuole che se si rompe, abbia compiuto il suo dovere: ha assorbito l’energia negativa e l’ha neutralizzata.
Oggi è uno dei simboli più iconici di Napoli, spesso reinterpretato in chiave moderna, artistica o addirittura in stampa 3D.
Ed ora con LAPIS FORTUNÆ anche in pregiato marmo di Carrara
La Fortuna
L’Enciclopedia Italiana definisce la fortuna come:
“forza che guida e avvicenda i destini degli uomini, ai quali distribuisce ciecamente felicità, benessere, ricchezza, oppure infelicità e sventura”.
Da sempre gli uomini hanno pensato che la fortuna condizionasse la loro vita.
Il concetto è però cambiato dall’epoca pre-scientifica ad oggi.
Per i Romani il capriccio e l'imprevedibilità della dea Fortuna potevano essere influenzate mediante virtù, templi e sacrifici, ma anche con amuleti come il fallo in erezione.
Nel Medioevo l’uomo diviene impotente di fronte all'imperscrutabilità della Divina Provvidenza.
Dall’Umanesimo fino ad oggi, la fortuna è nuovamente influenzabile grazie a coraggio e intraprendenza ma anche grazie ad amuleti. Ancora oggi il Corno è una presenza imprescindibile per la maggioranza degli italiani.
Romani
Il detto latino Fortes fortuna adiuvat (la fortuna aiuta gli audaci) spiega la visione della fortuna per gli antichi Romani.
Fortuna era una importante dea dell’Olimpo, cieca e capricciosa ma in qualche modo influenzabile:
- mediante la virtus (comportamenti guidati da valore, onore, dovere, coraggio, pietas);
- con sacrifici e numerosi templi in tutto l’impero.
La dea Fortuna veniva rappresentata come una donna i cui attributi erano:
- la ruota, a rappresentare i continui mutamenti della sorte;
- la cornucopia, un corno dal quale sgorgano incessantemente ricchezze come frutti, spighe, monete.
L’antenata del moderno corno portafortuna.
Per propiziarsi la buona sorte e proteggersi dal malocchio (sguardi invidiosi di persone cattive), gli antichi Romani utilizzavano anche numerosi amuleti, tra questi il fallo in erezione. Veniva indossato oppure messo all’interno e all’esterno delle case e delle botteghe.
Si dice che il passaggio dal fallo al corno avvenne nel Medioevo con la messa al bando di tutti i riferimenti ai piaceri della carne. Anche se questa convinzione viene smentita da una lettera di Lord Hamilton nella quale, ancora alla fine del ‘700, descrive l’usanza a Napoli tra bambini e donne di ceti popolari di indossare amuleti con simboli fallici. vedi Il Fallo alato di Pompei: viaggio nell'Antica cultura Romana
Medioevo
Da forza imprevedibile e capricciosa, nel Medioevo, dove Dio è al centro di tutto, la fortuna diviene una intelligenza celeste, una forza angelica preposta da Dio al governo dei beni terreni.
Nel Medioevo, la fortuna non è più una divinità pagana, ma uno strumento della Provvidenza divina, come illustrato da Dante. Non è una forza cieca, ma una “ministra” di Dio che distribuisce i beni terreni secondo un disegno imperscrutabile per l'uomo.
La celebre ruota della fortuna simboleggia l'instabilità del mondo, ma con un significato morale: invita l'uomo a non affidarsi ai beni materiali, ma a cercare la virtù.
L'uomo non può dominare la fortuna, ma deve affrontarla con saggezza e rassegnazione, accettando il volere divino.
In breve, la fortuna medievale non è il caso, ma si inserisce in un ordine provvidenziale che mette alla prova l'uomo e lo spinge a cercare una vita virtuosa, al di là delle vicende terrene.
Oggi
In età umanistica, con l’uomo posto al centro di tutto e con lo studio dei classici, la fortuna torna ad essere capriccio del caso ma influenzabile dall’uomo.
Il Machiavelli nel 1500, con un espediente retorico, descrive la fortuna come donna per indicare una forza imprevedibile da dominare con la virtù:
“Io iudico bene questo: che sia meglio essere impetuoso che respettivo; perché la Fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de' giovani, perché sono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano”.
Questa metafora della fortuna era molto comune nel Rinascimento. In questo contesto, la figura femminile rappresentava l'instabilità, l'irrazionalità e la forza imprevedibile della natura senza avere connotazioni di violenza fisica ma indicando audacia, impeto, determinazione. Una metafora che oggi non useremmo mai.
Oggi, nell’era dell’intelligenza artificiale, la fortuna rimane ancora una forza astratta e capricciosa, ma in qualche misura influenzabile:
- grazie alle proprie doti,
- alla capacità di cogliere le occasioni,
- ma anche con rituali scaramantici ed amuleti come il Corno.
Napoli, 1435. Antonio Beccadelli detto il Panormita osservava i muratori che scavavano per completare le fondamenta del suo nuovo palazzo. Gli operai lavoravano tra i resti di mura medievali e frammenti di opus reticulatum romano, sfruttando le antiche strutture come base per la nuova costruzione.
Re Alfonso il Magnanimo apprezzava molto il Panormita, suo fidato consigliere, e lo ricompensava generosamente. L'umanista avrebbe poi immortalato la magnificenza del sovrano aragonese nel Liber de dictis et factis Alphonsi regis, raccolta di aneddoti e massime del re. I tempi erano cambiati dai giorni turbolenti dell'Hermaphroditus, quando i suoi sonetti erotici in latino furono condannati dalla Chiesa. Le sue effigi furono bruciate pubblicamente a Bologna e Milano, mentre Papa Eugenio IV arrivò a minacciare la scomunica per chiunque fosse trovato a leggere quell'opera considerata scandalosa immoralità pagana. A Napoli invece i versi circolavano ancora, divertendo discretamente gli intellettuali della corte. Alfonso aveva creato un ambiente di protezione per gli umanisti, dove la cultura antica poteva essere studiata senza i timori che affliggevano altre corti italiane.
Osservando le antiche fondamenta, Beccadelli ebbe un'idea. La sua formazione umanistica lo aveva portato lontano dalle concezioni medievali che ancora dominavano gli ambienti più conservatori della società. Dove i teologi vedevano solo divina provvidenza, lui aveva riscoperto negli antichi la potenza della Fortuna. Non solo Cicerone, ma tutta la letteratura classica - da Virgilio a Ovidio, da Omero a Sofocle - testimoniava il potere di questa dea capricciosa. Nella religione romana l'avevano venerata con templi e riti, prima che il cristianesimo cancellasse tutto sotto l'egida della volontà divina. Dai classici aveva maturato l'idea che la fortuna potesse essere in parte condizionata, oltre che con templi e sacrifici, anche con amuleti come il fallo in erezione. Ma egli, avendo comunque una base di formazione religiosa, decise di usare un corno invece di un fallo in erezione.
"Ho quello che serve," disse l'umanista.
Settimane prima, a Palermo, aveva conosciuto un vecchio scultore greco che gli aveva mostrato un piccolo corno di pietra. L'artigiano aveva sorriso vedendo la sua curiosità. "Mio nonno scolpiva falli in erezione per i mercanti romani," aveva raccontato. "Diceva che la Fortuna è come una donna capricciosa: più la corteggi apertamente, più ti sfugge. I falli in erezione tra i vari amuleti erano i più potenti."
Il vecchio aveva accarezzato il corno di marmo. "Poi arrivarono i cristiani e tutto cambiò. Non potevamo più scolpire simboli così espliciti senza attirare l'ira del clero. Ma mio padre era furbo: scoprì che il corno mantiene la stessa forza simbolica del fallo in erezione, la stessa capacità di attrarre la benevolenza divina, ma con una forma più... diplomatica."
L'uomo aveva guardato Beccadelli negli occhi. "Gli antichi sapevano che la Fortuna può essere corteggiata, non conquistata. Non costretta, come pretendono i cristiani di fare con la preghiera, ma sedotta con grazia. Il corno è il compromesso perfetto: mantiene il potere dell'antico simbolo ma nasconde la sua vera natura. La Fortuna apprezza l'intelligenza di chi sa adattarsi ai tempi."
Quella sera, mentre i muratori riposavano, Beccadelli scese tra le fondamenta con una candela. La fiamma tremolava sui frammenti di marmo romano incorporati nelle nuove mura. Trovò la pietra angolare e vi nascose accanto il piccolo corno di marmo.
Guardando verso il mare, scorse in lontananza il profilo del Castel dell'Ovo. La leggenda narrava che nelle sue fondamenta Virgilio stesso avesse nascosto un uovo magico, e che finché fosse rimasto intatto, il castello sarebbe stato inespugnabile. Per secoli quell'uovo aveva protetto la fortezza. Ora, pensò l'umanista, il suo corno di pietra avrebbe garantito al palazzo fortuna, successo e sicurezza.
Nei decenni seguenti, l'edificio avrebbe ospitato alcuni dei più brillanti intellettuali dell'Umanesimo meridionale. Poeti, filosofi e umanisti si sarebbero riuniti in quelle sale, dibattendo di letteratura classica e componendo opere che avrebbero attraversato i secoli. Il palazzo del Panormita sarebbe diventato un punto di riferimento culturale, dove le idee circolavano liberamente e i saperi antichi rinascevano sotto nuove forme. La Fortuna, forse, aveva gradito l'omaggio.
Le fondamenta del Palazzo del Panormita a Napoli, nascondono una leggenda.
Un corno di pietra nascosto nelle fondamenta!
Questo palazzo venne costruito sui resti di antichissimi fabbricati. Ancora oggi si possono vedere le strutture di un antico porticato inglobate nelle fondamenta. Secondo alcuni studiosi in quest’area sorgeva il tempio di iside. Infatti nella Neapolis greca e romana, questo era il quartiere abitato dagli alessandrini, greci provenienti da Alessandria d’egitto.
Grande testimonianza di questo periodo è il Corpo di Napoli, rappresentazione del dio Nilo, portatore di fertilità abbondanza e ricchezza. Elemento importante della scultura è la cornucopia, un corno dal quale sgorgano incessantemente ricchezze come frutti, spighe, monete.
Il Panormita, personalità di grande spessore venne chiamato alla corte del re Ferrante d’Aragona in qualità di consigliere personale all’inizio del 1400.
Quale interprete del suo tempo era appassionato cultore dei classici greci e latini, personalità di spicco dell’umanesimo e fondatore dell’accademia pontaniana.
È noto anche per i suoi sonetti erotici in latino, che in quanto in contrasto con la morale cattolica vennero addirittura bruciati nella pubblica piazza a Bologna, sua città di origine. A Napoli e alla corte aragonese, invece, il suo libro Hermaphroditus circolava e divertiva.
Ma perchè la leggenda del corno è legata al del palazzo del Panormita?
Forse proprio per la sua passione per lo studio dei classici decise di far costruire il suo palazzo proprio alle spalle della statua del dio Nilo, nell’area del tempio di Iside.
E forse proprio per la stessa passione, per propiziarsi la dea Fortuna, decise di nascondere nelle fondazioni del palazzo un amuleto, un erede del fallo e della cornucopia: un Corno di Pietra.
Così come l’uovo, simbolo di solidità, regge la forza del Castel dell’Ovo, così il palazzo del panormita fonda la sua fortuna su di un Corno in Marmo nascosto nelle sue fondazioni.
Molte volte non sono stati gli eserciti, ma il caso e gli eventi naturali a cambiare la storia.
- Cesare (48 a.C.): dopo la sconfitta a Durazzo, una tempesta impedì a Pompeo di inseguirlo. Grazie a quel vento contrario, Cesare ebbe il tempo di riorganizzarsi e vincere a Farsalo.
- Alessandro Magno (334 a.C.): durante l’attraversamento del Granico, il fiume ingrossato dalle piogge rese la battaglia quasi disperata. Alessandro rischiò la vita, ma ne uscì vincitore: un passo falso nelle acque avrebbe stroncato la sua conquista.
- Armata Invincibile di Filippo II (1588): il più grande esercito navale del suo tempo fu distrutto non dagli inglesi, ma dalle tempeste dell’Atlantico. La “Fortuna degli Inglesi” cambiò per sempre l’equilibrio europeo.
- Napoleone in Russia (1812): il “Generale Inverno” distrusse la Grande Armée più di qualunque battaglia. Gelo, neve e carestia trasformarono una spedizione trionfale in una catastrofe.
Penicillina (1928) – Alexander Fleming notò per caso che una coltura batterica era stata contaminata da una muffa che uccideva i batteri. Una dimenticanza di laboratorio cambiò la medicina.